Acido lattico

Acido lattico | Indice soglia anaerobica

ACIDO LATTICO E TEST LATTATO

VALUTAZIONE DELLA LATTACIDEMIAUN IMPORTANTE INDICE DELLA SOGLIA ANAEROBICA

Quando si parla di soglia anaerobica, lattato, lattacidemia, si può creare una grande confusione e pertanto prima di addentrarci nel merito di questo articolo riteniamo opportuno fare un po’ di chiarezza sia sulla terminologia che sul metabolismo anaerobico, elementi essenziali al fine di comprendere appieno l’importanza della valutazione di questo parametro in ambito sportivo.

DEFINIZIONI:

  • Lattacidemia: la lattacidemia indica la concentrazione di acido lattico nel sangue e, più generalmente, lo stato di acidosi metabolica indotto dal suo accumulo.
    Questo valore ha notevole importanza nello sport in quanto il suo aumento è espressione di un cambiamento delle vie metaboliche utilizzate per ottenere energia, passando da quelle aerobiche a quelle anaerobiche.

La lattacidemia è oggi valutabile con numerose metodiche: è bene prestare attenzione al fatto che, nel caso del suo utilizzo in ambito sportivo, ciò che viene realmente valutata è la concentrazione del lattato, ovvero il sale dell’acido lattico, e non direttamente quest’ultimo, di difficile accesso e valutazione in quanto risiede all’interno delle cellule muscolari.

  • Acido lattico e lattato: l’acido lattico è un composto chimico, noto con il nome IUPAC di acido 2-idrossipropanoico, e presenta formula chimica C3H6O3.
    L’acido lattico riveste un ruolo importante in molti processi biochimici e in modo particolare in quelli coinvolti nello sforzo muscolare: viene prodotto nei muscoli durante la degradazione anaerobica (cioè in assenza di ossigeno) del glucosio.

Il lattato è una sostanza che si differenzia dall’acido lattico in quanto è priva di uno ione H+: sostanzialmente l’acido lattico prodotto dalla via metabolica anaerobica lattacida viene rapidamente dissociato rilasciando ioni idrogeno (H+) e lattato.

I SISTEMI ENERGETICI

Per metabolismo energetico si intende il sistema, composto da una serie di reazioni biochimiche, mediante il quale il muscolo produce l’energia necessaria alla propria contrazione.

Tramite questi meccanismi viene prodotto l’ATP (Adenosin Tri Fosfato), un composto ad alta energia richiesto dalla quasi totalità delle reazioni metaboliche: in seguito alla sua idrolisi, mediata dall’enzima ATPasi, l’energia che si libera viene subito utilizzata grazie ad ulteriori enzimi che la convogliano nei sistemi che ne hanno bisogno.

I sistemi energetici sono tre:

  1. anaerobico alattacido;

  2. anaerobico lattacido;

  3. aerobico.

È importante precisare che questi non sono “alternativi” uno all’altro, ma complementari: ciò comporta che non esiste un momento in cui ne è in funzione esclusivamente uno, ma sono sempre tutti e tre attivi e contribuiscono in quantità diverse alla produzione di energia in relazione all’ intensità dell’esercizio.

La biochimica dei sistemi energetici è piuttosto complessa, proprio in virtù del fatto che questi ultimi sono tra loro intrecciati.

In questo articolo ci concentreremo, pertanto, solo sul metabolismo anaerobico lattacido, che, per l’appunto è in relazione con la soglia anaerobica.

Metabolismo anaerobico lattacido

Il sistema anaerobico lattacido o anaerobico glicolitico, è uno dei tre sistemi energetici adoperati dal muscolo scheletrico per la produzione di Adenosin tri-fosfato (ATP).

Tale sistema energetico è prevalente nelle attività che richiedono forza e resistenza per un tempo attorno al minuto, con culmine attorno ai 40-45 s, ed utilizza come substrati i depositi di carboidrati endogeni rappresentati dal glicogeno, immagazzinato nel muscolo scheletrico e nel fegato, che viene idrolizzato a glucosio.

Mediante la glicolisi una molecola di glucosio viene scissa in due molecole di piruvato: a seconda delle condizioni in cui si trova l’organismo questa molecola può subire destini diversi, entrando a far parte della respirazione cellulare aerobia, costituita dal ciclo di Krebs, dalla fosforilazione ossidativa e dalla catena respiartoria, oppure essere convertito in acido lattico.

In presenza di ossigeno il piruvato viene trasportato all’interno dei mitocondri dove subisce un’ulteriore serie di reazioni catalizzate dall’enzima piruvato deidrogenasi che lo trasformano in acetil-CoA (acetil coenzima A) ed al contempo liberano una molecola di anidride carbonica e riducono una molecola di NAD+ a NADH (un equivalente di riduzione ed un coenzima fondamentale)

A questo punto l’acetil-CoA è pronto per essere utilizzato nel ciclo di Krebs, o ciclo dell’acido citrico.

I coenzimi caricati durante il ciclo di Krebs sono utilizzati nella cosiddetta fosforilazione ossidativa, composta da una fase nota come catena di trasporto degli elettroni che provvede a scaricare i due coenzimi, ossidandoli a NAD+ e FAD e quindi rimettendoli a disposizione per ripetere il ciclo, e una fase di sintesi in cui viene prodotto ATP.

Quando però l’esercizio supera una certa intensità, la produzione di piruvato eccede la capacità del ciclo di Krebs di metabolizzarla e quindi inizia ad accumularsi nella cellula.

Questo “eccesso” fa mancare l’approvvigionamento di equivalenti di riduzione (NADH+) a una delle reazioni della glicolisi, ponendo a rischio la continuazione dell’esercizio, per l’incapacità di ri-sintetizzare ATP.

Inoltre il ciclo di Krebs ha bisogno di un continuo rifornimento di NAD+, che in condizioni aerobiche è principalmente garantito dalla fosforilazione ossidativa.

In presenza di lavori ad elevata intensità, quando viene richiesto uno sforzo muscolare, è possibile che la bassa concentrazione di O2 presente nei muscoli si esaurisca e che la ri-ossidazione a NAD+ nella catena respiratoria del NADH prodotto nella tappa della glicolisi non possa più avvenire. Se ciò dovesse accadere l’attività muscolare cesserebbe per mancanza di ATP e la glicolisi sarebbe bloccata.
Per evitare ciò, le cellule del muscolo scheletrico hanno creato un meccanismo alternativo, volto a ricostituire gli equivalenti di riduzione, che si innesca ogni volta che la glicolisi rischia di bloccarsi per mancanza di NAD+: la produzione di lattato.

Trattandosi, secondo Wasserman, di un problema legato all’ ossigenazione chiamò la concentrazione di lattato corrispondente all’intensità per cui la crescita della concentrazione saliva bruscamente, soglia anaerobica.

La produzione di ATP attraverso la fosforilazione ossidativa sarebbe, quindi, compromessa a causa di un deficit di ossigeno al mitocondrio che quindi impedisce all’ultimo anello della catena di trasporto degli elettroni di cedere i sui elettroni, bloccando il funzionamento della fosforilazione ossidativa in favore della glicolisi anaerobica. La soglia anaerobica, quindi, evidenzierebbe il “brusco” passaggio da un sistema energetico aerobico (la fosforilazione ossidativa), ad uno anaerobico (la glicolisi anaerobica).

Come già anticipato precedentemente la glicolisi fornisce sempre un minimo contributo, anche a basse intensità di esercizio; tuttavia il piruvato prodotto è trasformato in acetil-CoA ed indirizzato al ciclo di krebs dove è completamente ossidato.

Riuscendo a stabilire l’intensità alla quale la fosforilazione ossidativa è insufficiente a garantire l’energia necessaria alla continuità dell’esercizio, si può individuare il punto in cui diviene prevalente l’intervento della glicolisi:

Lo studio di questi sistemi energetici, ha messo in evidenza che, quando l’intensità dello sforzo supera una determinata intensità, la concentrazione dello ione lattato tende ad aumentare nel muscolo e a diffondere successivamente nel sangue.

[perfectpullquote align=”full” cite=”” link=”” color=”” class=”” size=””]Pertanto oggi si preferisce parlare di soglia del lattato o lactate threshold (LT) e massimo stato stazionario del lattato o maximum lactate steady state (MLSS o MaxLass), per indicare il livello d’intensità dello sforzo per cui la concentrazione di lattato ematico rimane costante, ossia si osserva un equilibrio tra produzione e smaltimento.[/perfectpullquote]

Il lattato entra a far parte del cosiddetto ciclo di Cori, un ciclo metabolico che, tramite la circolazione sanguigna, lega fegato e muscolo:

Abbiamo avuto modo di vedere che quando la richiesta di ATP è superiore al flusso ossidativo le fibre muscolari ricorrono alla produzione di lattato.
Questo viene trasportato al di fuori della cellula muscolare per essere immesso nel circolo sanguigno e quindi essere inviato al fegato, dove viene riossidato dalla L-lattato deidrogenasi a piruvato, che, a sua volta, viene convertito in glucosio.

Il glucosio, prodotto dal fegato, sempre tramite sistema circolatorio, torna al muscolo dove può essere sottoposto ad un ulteriore processo glicolitico oppure può essere conservato nelle riserve di glicogeno.

I vantaggi di tale sistema sono:

  1. Rigenerazione del NAD+ che fa continuare la glicolisi;

  2. Produzione di ATP direttamente nella cellula muscolare che può essere catalizzata più rapidamente;

  3. Autonomia della fibra muscolare nei confronti della concentrazione di ossigeno nel sangue;

  4. Elevata energia contenuta nei legami C-H del lattato.

Lo svantaggio è dato dal fatto che l’acido lattico è un catabolita tossico per la cellula perché la sua produzione porta all’acidosi lattica nei muscoli.

Tale situazione può diminuire l’efficienza dei sistemi tampone nel sangue e determinare affaticamento fisico poiché l’aumento dell’acidità nei tessuti inibisce parzialmente le reazioni legate all’energetica muscolare causando appunto la sensazione di fatica che, in casi estremi porta alla cessazione dell’attività motoria. La risposta immediata è l’iperventilazione che se da un lato fa diminuire l’acidità dell’organismo, dall’altro determina un ‘debito di ossigeno’

In tal senso può sembrare che il lattato nel sangue o anche l’acido lattico, abbiano un effetto diretto negativo sulle prestazioni muscolari.

Tuttavia, molti ricercatori concordano sul fatto che qualsiasi effetto negativo sulle prestazioni associato in qualche modo all’accumulo di lattato nel sangue è dovuto in realtà ad un aumento di ioni idrogeno prodotti dalla dissociazione dell’acido stesso.
La conseguenza di questo processo chimico è un aumento di acidità che determina il cosiddetto stato di acidosi, che influisce sfavorevolmente sulla capacità di contrazione del muscolo.
Si può dedurre in ultima istanza che qualsiasi aumento nella produzione di acido lattico e quindi lattato sia dannoso solo in quanto aumenta la produzione di ioni idrogeno.

Tuttavia gli ioni di idrogeno si formano non tanto a causa della produzione di lattato ma del suo accumulo e quindi se l’eliminazione è veloce quanto la produzione non vi sono effetti negativi sulla performance, anzi, secondo gli studi condotti da Robergs la produzione di lattato, se accompagnata da una elevata capacità di asportazione è in grado di ritardare l’insorgenza dell’acidosi stessa poiché determinerebbe il consumo degli ioni idrogeno.
Robergs è comunque arrivato alla conclusione che una maggiore concentrazione di lattato, anche se non è la causa diretta, coincide con acidosi cellulare e rimane un buon indicatore indiretto per l’insorgenza della fatica.

Il test del lattato

Negli sport di endurance è fondamentale conoscere quanto più precisamente possibile le caratteristiche individuali di ciascun atleta e soprattutto che tali conoscenze siano poste su solide basi scientifiche.
Raggiungere tale obiettivo è possibile effettuando un test di valutazione quale è appunto il test di soglia o test del lattato, associato, ovviamente, ad una corretta analisi e ad un corretto utilizzo dei risultati ottenuti.

[perfectpullquote align=”full” cite=”” link=”” color=”” class=”” size=””]In tal modo sarà infatti possibile pianificare l’allenamento in maniera personalizzata sui propri livelli e finalizzata alla tipologia di sport praticato.[/perfectpullquote]

Il test di soglia anaerobica basato sulla determinazione del lattato ematico consente di individuare le velocità di corsa o la potenza di pedalata alle quali si devono impostare le diverse intensità di allenamento, quali il fondo lungo o medio, o ancora la soglia anaerobica.

Non meno importante è il fatto che il test di soglia permette di costruire un grafico in cui frequenza cardiaca e lattato ematico sono posti in funzione della velocità o della potenza espressa, determinando la caratteristica curva.

L’interpretazione dei dati ottenuti deve essere sempre basata sulle caratteristiche dell’atleta e dei suoi livelli: per fare un esempio un atleta di buon livello è in grado di affrontare la mezza maratona a velocità simili a quella della soglia anaerobica, viceversa, un amatore o un principiante dovrà scegliere un ritmo compreso tra il medio e la soglia.

Il concetto di soglia anaerobica, non a caso, è collegato al tipo di metabolismo attivato dall’organismo per produrre energia: per intensità inferiori a questo limite le energie vengono prodotte dalla combustione di una miscela di grassi e zuccheri che, via via, predilige l’utilizzo di questi ultimi all’aumentare dell’intensità: ne consegue che se si sovrastimano le proprie capacità si incorre in un drastico calo delle prestazioni legato alla carenza di energie.
Questo momento di crisi è noto, a livello pratico, come il “muro” contro cui il maratoneta incorre oltre il trentesimo km o la crisi di fame caratteristica del ciclista nelle granfondo.

In ogni caso, il calo di prestazioni ha la stessa meccanica: ritmo troppo elevato e conseguente esaurimento delle riserve glucidiche.

Ecco quindi che per scongiurare questi rischi, la conoscenza delle proprie caratteristiche e della soglia anaerobica risulta preziosa per impostare allenamento e gara.

©Riproduzione riservata – Protetto da marca temporale (Marca temporale emessa in data 10/10/2016 00:16 CEST)


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